LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA E L’ETICA DELLA RESPONSABILITÀ

26.7.2020 – A quanto sembra, l’Europa ha stanziato una cifra molto importante, e ci ha indicato come prioritari quattro obiettivi. Tra questi, la giustizia.

Si tratta di un’occasione irripetibile, che comporta una responsabilità enorme: quella di non sprecarla. Ci vogliono progetti seri, nessuno ci regalerà del denaro per vederlo sperperato in regalie ad una casta o all’altra.

L’Europa ci ha evidenziato, per l’obiettivo “giustizia” delle criticità e ci ha dato dei suggerimenti: mi riferisco al documento della Commissione denominato “the 2020 Justice Scoreboard”.

La prima criticità, è il crollo della fiducia dei cittadini nella indipendenza dei giudici: vengono percepiti come troppo collegati al mondo della politica. Importa poco, stabilire se la percezione è esatta oppure no. La giustizia si regge sulla fiducia che i cittadini ripongono in essa: impugnerò qualunque sentenza che mi dia torto anche in minima parte, se ritengo che il giudice che la ha emessa non è imparziale, ed e’ così che il sistema collassa.

Per questo, mi sarei aspettato di leggere che la prima ipotesi di intervento di natura ordinamentale fosse: tutti i giudici devono tornare in Tribunale.

Pare che non andrà così, e quindi mi sorge spontanea una domanda che avrei piacere di rivolgere al Sig. Ministro della Giustizia, del quale ho avuto modo di apprezzare la capacità di ascolto: ma davvero Lei vuole rischiare di vedersi bocciare il progetto straordinario di riforma per non avere affrontato una criticità fondamentale, e passare alla storia come quello che ha buttato via il biglietto vincente della lotteria? Spero vivamente di no.

Ci ha anche dato un suggerimento, l’Europa: diffondere questionari tra avvocati e cittadini, per misurare il livello di gradimento dell’operato dei giudici.

Nella sua banalità, è rivoluzionario: serve a ricordare a tutti che, nei sistemi democratici, la giustizia è amministrata – o dovrebbe esserlo – in nome del popolo, al quale i giudici devono rendere conto di come lavorano.

Per carità, nessuno invochi l’indipendenza: non c’entra niente. L’indipendenza impone che nessuno possa sindacare il contenuto dei provvedimenti, ma dei comportamenti devono rendere conto tutti: e se un giudice lavora molto e bene deve essere premiato, e non postposto ai lavativi o, peggio, ai delinquenti. Nella mia vita, ho visto giudici promossi ad incarichi direttivi o semidirettivi poco prima di essere arrestati per corruzione in atti giudiziari. L’attuale sistema di valutazione è, francamente, imbarazzante: basta andare a leggere le percentuali di giudizi positivi sul sito del CSM per rendersi conto che sono evidentemente improbabili. Ma come si fa ad affidare all’eletto la valutazione dell’elettore?

Per questo, con le Camere civili abbiamo proposto di permettere agli avvocati, che rappresentano gli utenti, di concorrere – concorrere, si badi: non condizionare – alla valutazione dei magistrati. Non eravamo alla ricerca di incarichi: volevamo difendere quella credibilità dei giudici che è patrimonio di tutti coloro che concorrono all’esercizio della giurisdizione. Da quel che leggo sui giornali, sembra che non andrà così, e neppure si ipotizza un sistema diverso per ottenere lo stesso risultato. Peccato. Peccato per quei giudici che la fiducia dei cittadini la meriterebbero (e sono la maggior parte, secondo me) ma la stanno perdendo per colpa di un sistema di affiliazione che rifiuta pervicacemente qualsiasi forma di controllo democratico. Rifiutarsi di rendere conto del proprio operato a quel popolo in nome del quale si pronunciano le sentenze significa essere autoreferenziali, non indipendenti. E non si può essere nello stesso tempo autoreferenziali e credibili. Se si vuole che la giustizia funzioni, bisogna prendere atto della realtà. E la realtà, è che l’attuale sistema di valutazione dei giudici non ha più la minima credibilità: si è rivelato condizionato da una rete di relazioni che il Sig. Presidente della Repubblica ha bollato con l’espressione “modestia etica”?

Per questo, la responsabilità della riuscita di questo progetto straordinario di riforma non è solo del Ministro, ma anche dei giudici: se non vogliono farlo fallire, devono smetterla di essere autoreferenziali, e diventare davvero indipendenti. Se non sarà così, è inutile baloccarsi con le regole processuali: non c’è norma che tenga, contro le degenerazioni di un sistema, bisogna cambiarlo. Ce la farà, la politica, a convincere i giudici a rendere conto al popolo dei propri comportamenti? Non lo so: a volte, mi viene da pensare che forse il problema non è la indipendenza dei giudici dalla politica, ma la indipendenza della politica dai giudici. Ma spero vivamente di sì: io nei giudici ho molta fiducia, e confido che quelli che stanno in Tribunale chiederanno anche loro che le carriere siano decise dal merito, e non dai vincoli di affiliazione. Se non andrà così, saranno loro ad avere gettato via il biglietto vincente della lotteria, e dovranno assumersene la responsabilità.

 

Antonio de Notaristefani

 

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