LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA CIVILE IN UN ARTICOLO SOLO

Sul merito della (ultima) riforma della giustizia civile ho più volte espresso il pensiero delle Camere civili: inutile ripeterlo.
Già mi aveva colpito che il Ministero avesse nominato una Commissione di esperti di fiducia, e poi ne avesse sostanzialmente accantonato le proposte proprio su quel giudizio di cognizione di primo grado che riguarda tutti quelli che chiedono giustizia. Ancora meno mi aveva convinto che il Governo ponesse la fiducia su di una legge con cui il Parlamento gli ha delegato il compito di riformare la giustizia civile: sarò all’antica, ma per me le deleghe le deve scrivere il delegante, non il delegato, se si vuole evitare il conflitto d’interessi. Ma forse anche questa, era una concezione obsoleta: in una visione più moderna si bada alla efficienza, e non vale la pena di soffermarsi su bizantinismi del genere.
Immagino sia stato sempre in un’ottica di efficienza che si è scelto di trasformare la riforma della giustizia civile in un articolo solo, approvato quindi con un unico voto e lungo più o meno quaranta pagine. Non erano i tecnicismi della legge finanziaria, era la riforma della giustizia civile. Dettagli, evidentemente.
La sostanza magari nemmeno cambia, ma la forma sì. E per me, quando si discute di processo e diritti, la forma è sostanza, non una inutile zavorra. Non so se quella delega si trasformerà in decreti legislativi, e se finiremo con l’avere un codice di procedura civile di un articolo solo, da poter sostituire senza troppe discussioni ad ogni cambiamento di governo. Spero di no, onestamente. Ma rivendico il più inalienabile di tutti i diritti: quello di negare il nostro consenso. Quello, non è il processo degli avvocati e mio: i suoi padri, frequentano il Ministero e le aule del Parlamento, non quelle di giustizia. Questa volta, non date colpe agli avvocati

Antonio de Notaristefani

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