DELLA CD. “MONOCOMMITTENZA”

Per ogni problema complesso, si trova spesso una soluzione semplice che, però, è quasi sempre sbagliata: temo che il problema della “monocommittenza” – e cioè degli avvocati che lavorano soltanto per un altro avvocato- non sfugga alla regola generale.
Si parte dal presupposto (secondo me corretto) che chi si trova in queste condizioni è, quasi sempre, un dipendente mascherato, e si conclude (sbagliando) che allora si può essere avvocati senza essere indipendenti: e per tutelare quei giovani, si ipotizza di abolire, o almeno attenuare, il requisito della indipendenza. Mi dispiace: non ci sto. Se qualcuno sfrutta i giovani, imponendo loro una subordinazione non accompagnata dalle garanzie che sono proprie di quella tipologia di lavoro, forse ci vuole l’Ispettorato del lavoro, piuttosto che un intervento legislativo sulla indipendenza. E se è giusto tutelare la malattia o l’infortunio, una temporanea conservazione del posto, ma non del compenso, serve a poco: anche durante la malattia si deve mangiare, e con un compenso minimo garantito pari al doppio della pensione sociale (siamo, più o meno, sui mille euro) per un lavoro a tempo pieno (a volte, molto pieno) c’è poco da mettere da parte. E poi: cosa c’entra tutto ciò con l’indipendenza? Per questo, ben venga un intervento che garantisca ai giovani un compenso sufficiente ad assicurare una esistenza libera e dignitosa, nella consapevolezza che poi sarà il mercato a stabilire quanti di loro troveranno spazio, ma la indipendenza, per carità, lasciamola stare: senza indipendenza, si potrà essere eccellenti giuristi di impresa, abilissimi uomini d’affari, formidabili consulenti legali. Ma avvocati no: per essere avvocati, bisogna essere indipendenti. Lo ha detto, più volte, la Corte Suprema (sentenza 14374/2012) anche a Sezioni unite (9861/2017) quando ci ha definiti “necessari partecipi dell’esercizio diffuso della giurisdizione”. Lo ha detto l’Europa, quando ha affermato (codice deontologico degli avvocati europei) che “essa è necessaria per la fiducia nella giustizia quanto la imparzialità del giudice” o quando ha sancito (sentenza della Corte di giustizia UE, Grande Chambre, 550/2010) che è la solo l’indipendenza che distingue la funzione dell’avvocato da quella di altri esperti di diritto. Noi avvocati vendiamo quella fiducia nella giustizia che richiede la nostra indipendenza. Per questo, tutelare i giovani sfruttati è doveroso, piuttosto che giusto; ma minare la indipendenza degli avvocati significa dare il colpo di grazia ad una categoria già in difficoltà, non proteggere i più deboli tra i suoi esponenti.
Antonio de Notaristefani

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